React: che cos'è, come funziona e perché domina le interfacce web
Nel giro di pochi anni React è passato da esperimento interno di Facebook a linguaggio comune del front end moderno. Dietro una quantità impressionante di interfacce web vive una libreria che ha cambiato il modo di pensare le UI. Se oggi molte applicazioni nel browser sembrano più vicine ad app native che a siti tradizionali, una parte del merito è proprio di React, raccontato e documentato nel dettaglio su react.dev.
Non è un framework monolitico, non pretende di controllare tutto lo stack. React nasce con una promessa precisa, aiutare a costruire interfacce dichiarative basate su componenti, lasciando la libertà di scegliere il resto dell’architettura. È questo equilibrio tra opinioni forti sulla UI e flessibilità sul contorno ad aver convinto migliaia di team, dalle startup agli enormi prodotti consumer.
Che cos’è davvero React
React è una libreria JavaScript open source per costruire interfacce utente. Al centro c’è un’idea semplice e potente. La UI è una funzione dello stato. Invece di manipolare il DOM passo dopo passo, si descrive come l’interfaccia dovrebbe apparire in base ai dati correnti. Quando quei dati cambiano, React si occupa di aggiornare in modo efficiente ciò che l’utente vede.
Questa visione prende forma attraverso i componenti. Ogni pezzo di interfaccia, dal bottone all’intera pagina, diventa un componente riutilizzabile. Un componente riceve delle props, può avere uno stato interno e restituisce una struttura che somiglia a HTML ma vive in JavaScript, grazie a JSX. Per chi viene dal mondo del markup, scrivere layout con JSX significa unire la leggibilità del codice dichiarativo alla potenza del linguaggio.
Il fatto che React sia una libreria, e non un framework totale, ha creato un ecosistema enorme. Router, gestori di stato globale, librerie di componenti estetici, metaframework per il rendering lato server. Intorno al core si è costruito un universo di soluzioni che permettono di adattare React a progetti molto diversi, dalle single page application più classiche alle app ibride con rendering sul server.
Come funziona tra virtual DOM, hook e metaframework
Per capire perché React si comporta in modo diverso dal vecchio approccio al DOM manuale, serve guardare al concetto di virtual DOM. Ogni volta che lo stato cambia, React costruisce una rappresentazione in memoria dell’interfaccia desiderata. Confronta questa versione con quella precedente, individua le differenze e calcola un insieme minimo di operazioni da applicare al DOM reale. Il risultato è un aggiornamento più prevedibile e, spesso, più performante.
La grande svolta nella storia della libreria è arrivata con gli hook. Con funzioni come useState, useEffect e compagni, la gestione dello stato e degli effetti collaterali è stata resa più lineare anche nei componenti funzionali. Invece di gerarchie complicate di classi, oggi gran parte del codice React moderno vive in funzioni che descrivono cosa mostrare e come reagire ai cambiamenti.
Intorno a questo nucleo, la community ha costruito strumenti che hanno reso React un pezzo naturale di architetture complete. React Router per la navigazione tra pagine, soluzioni come Redux, Zustand o Recoil per lo stato condiviso, e soprattutto metaframework come Next.js, che aggiungono routing basato su file, rendering lato server, static site generation e API integrate. Una buona panoramica di questi approcci è spesso collegata anche nella documentazione di riferimento su MDN Web Docs.
Oltre al web, la stessa filosofia si estende al mobile con React Native, che consente di usare componenti React per costruire app iOS e Android, e a contesti meno ovvi come desktop e TV. A livello concettuale, imparare React significa spesso acquisire un modo di ragionare che poi si riusa in ambienti molto diversi.
Perché domina le interfacce web
Il dominio di React nelle interfacce web non è soltanto una questione di moda. Ci sono motivi tecnici, organizzativi e culturali. Il primo è il modello mentale. Pensare la UI come funzione dello stato riduce intere classi di bug legati a DOM manipolato a mano, eventi dimenticati, stati intermedi incoerenti. Il codice diventa più leggibile e facilitato da pattern ripetibili.
Il secondo è la forza dell’ecosistema. Esistono design system completi basati su React, librerie di componenti per quasi ogni gusto estetico, strumenti di testing pensati ad hoc, una quantità enorme di esempi, corsi, repository. Per un team, scegliere React significa quasi sempre trovare persone che lo conoscono, documentazione aggiornata, soluzioni già pronte per i problemi comuni.
Il terzo riguarda la collaborazione con il design. React si sposa bene con l’idea di componenti di interfaccia che ricalcano i componenti degli UI kit. Pulsanti, card, form, modali. Designer e sviluppatori possono parlare la stessa lingua, quella dei blocchi riutilizzabili. In presenza di un design system maturo, ogni componente React diventa la controparte viva di un elemento definito in Figma o strumenti simili.
C’è poi il fattore continuità. Giganti del web usano React in produzione da anni. Questo ha dato alla libreria una credibilità difficile da replicare. Quando si deve scegliere tecnologia per un progetto che dovrà vivere a lungo, sapere che un intero ecosistema la supporta e che il codice scritto oggi non diventerà rapidamente una nicchia è un argomento forte.
Infine, React ha avuto la capacità di evolversi senza perdere compatibilità. L’introduzione degli hook, il nuovo modello di server components, le ottimizzazioni successive non hanno imposto riscritture totali, ma percorsi graduali. In un mondo frontend spesso segnato da rivoluzioni continue, questa forma di stabilità ha un peso enorme nelle scelte dei team.
Per tutte queste ragioni, quando si parla di interfacce web moderne, React è spesso il riferimento implicito. Non è l’unica opzione valida e non è perfetta per ogni scenario, ma resta uno degli strumenti più completi e sostenuti per costruire esperienze ricche, scalabili e mantenibili nel tempo.