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Internet Day_L'italia si collega a Internet il 29 ottobre 1990

Internet Day: il 29 ottobre 1990 l’Italia si connette per la prima volta alla rete

Quando Internet nacque non aveva alcuna somiglianza con lo spazio digitale che abitiamo oggi. Non esistevano bacheche infinite, non esisteva la logica dei follower e non c’era alcun algoritmo a decidere cosa meritasse attenzione. Esisteva soltanto una rete di calcolo che permetteva a due punti lontani di toccarsi, prima ancora che due persone si scrivessero. Il primo gesto della rete non fu esibizione ma presenza: un segnale che diceva “ci siamo”. L’idea stessa di pubblico non era contemplata, perché la rete non era un palcoscenico, era un luogo di prossimità. Il web delle origini era un organismo aperto e decentralizzato, costruito da chi lo abitava non per apparire ma per collegarsi. Ogni nodo era un atto di partecipazione reale, un ponte più che un profilo. La rete non era un posto in cui mostrarsi, era uno spazio in cui raggiungere qualcuno. Per questo non esisteva audience: esisteva comunità. Per comprendere ciò che Internet è diventata bisogna tornare al giorno in cui per l’Italia tutto è iniziato davvero, l’internet day.

Era il 29 ottobre 1990, alle 14:30, quando dal CNUCE di Pisa – il Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico – partì il primo pacchetto dati diretto verso la Pennsylvania. Non era un test improvvisato ma l’esito di un lavoro scientifico meticoloso, portato avanti da ricercatori e ingegneri che avevano intuito che quella connessione avrebbe aperto un passaggio irreversibile. All’epoca non esistevano browser, non esisteva il web come lo intendiamo oggi: esistevano macchine che finalmente parlavano la stessa lingua grazie al protocollo TCP/IP. L’Italia fu tra i primi paesi europei a compiere quel salto. Il messaggio non fu un annuncio mediatico. Non fu costruito per generare attenzione, fu costruito per creare contatto. Era un “siamo dentro” pronunciato attraverso un cavo, un modo per dire che l’Italia stava entrando nella rete globale proprio mentre la rete globale stava nascendo. Quell’invio non produsse like o metriche, ma cambiò per sempre ciò che il Paese poteva diventare nel mondo digitale. Negli anni successivi qualcosa ha iniziato a cambiare: il baricentro della rete si è spostato dal collegamento alla piattaforma, e con questo passaggio l’utente è diventato pubblico. I forum hanno lasciato spazio ai feed, i blog sono stati sostituiti dalle timeline, e l’interazione si è compressa in formati pensati per generare attenzione più che relazione. Non è stato un crollo improvviso, è stata un’erosione lenta: la rete ha smesso di essere luogo di co‑costruzione e ha iniziato a comportarsi come vetrina.

Da lì il ribaltamento è stato naturale. L’utente non era più partecipante ma destinatario, non cercava più persone ma contenuti, e il contenuto diventava valore solo se catturava sguardi. L’attenzione entrò nel sistema economico della rete come materia prima, e quando l’attenzione diventa risorsa misurabile, tutto viene trasformato in superficie. Da luogo si passa a palcoscenico, da scambio a flusso, da presenza a esposizione.

Eppure ogni sistema che si sbilancia genera il proprio contrappeso. Quando tutto diventa palco emerge nuovamente il bisogno di cerchi ristretti, quando ogni luogo è pensato per la massa riaffiora la ricerca dell’appartenenza. Oggi assistiamo al ritorno delle micro‑community, non come tendenza nostalgica ma come ritorno fisiologico: l’essere umano non appartiene alle folle indefinite ma alle comunità riconoscibili. La rete si restringe per ritrovare profondità, non per ritirarsi. Questo non è un ritorno al passato ma un riequilibrio. Dopo l’era dell’esposizione torna l’era della prossimità: un digitale che non si misura in pubblico ma in legame, che non premia l’apparire ma la relazione. Il 29 ottobre del 1990 non è solo una data, è un promemoria: Internet nasce come infrastruttura di contatto prima ancora che di spettacolo, e ogni volta che la rete torna ad assomigliare a una comunità, si riavvicina alla sua origine.

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