Firewall: che cos'è, come funziona e perché difende i sistemi
Nella sicurezza informatica il firewall è un po’ come la porta d’ingresso di casa. Non è l’unica difesa, ma è il primo punto in cui si decide chi può entrare e chi deve restare fuori. Per questo, quando si parla di proteggere server, reti aziendali e sistemi operativi, il firewall torna sempre. Non è una moda, è un componente strutturale.
Per anni ha avuto un’immagine quasi mitologica, come se bastasse attivarlo per sentirsi al sicuro. La realtà è meno magica e molto più interessante. Un firewall è uno strumento potente, ma funziona solo se viene compreso, configurato e inserito in una strategia più ampia. Le linee guida di enti come il NIST o l’ENISA insistono proprio su questo punto.
Che cos’è un firewall
In termini semplici un firewall è un sistema di controllo del traffico di rete. Osserva i pacchetti che entrano ed escono da un dispositivo o da una rete e applica regole che stabiliscono cosa è consentito e cosa no. Può essere un dispositivo dedicato in una sala server, un servizio software sul sistema operativo, un componente nei router o nei servizi cloud.
Dal punto di vista logico l’idea è quella di creare una zona di confine tra ambienti con livelli di fiducia diversi. Per esempio tra Internet e la rete interna aziendale, tra una rete ospiti e quella che contiene server critici, tra il mondo esterno e il singolo computer di un utente. Il firewall diventa il guardiano di questo confine.
Esistono firewall di rete, che proteggono segmenti interi, e firewall host based, che vivono sui singoli sistemi operativi. Un server Linux con iptables o nftables attivi, o una workstation con il firewall integrato del sistema operativo, non fanno altro che applicare questa stessa logica a un livello più vicino alla macchina.
Come funziona tra regole, stato delle connessioni e ispezione
Per capire come funziona un firewall è utile partire dal concetto di regola. Ogni regola descrive una condizione e un’azione. Se il traffico arriva da questa sorgente, verso questa destinazione, su questa porta, con questo protocollo, allora viene permesso oppure bloccato. Un insieme di regole costruisce una vera e propria politica di sicurezza.
I primi firewall lavoravano soprattutto a livello di indirizzi IP e porte, in modo piuttosto statico. Oggi la maggior parte dei sistemi adotta un approccio stateful. Significa che il firewall tiene traccia dello stato delle connessioni. Se una macchina interna apre una connessione verso l’esterno, le risposte associate vengono riconosciute come parte di quella sessione e gestite di conseguenza. Questo permette di distinguere meglio tra traffico legittimo e tentativi di ingresso non richiesti.
I firewall più avanzati, spesso chiamati next generation, aggiungono un livello ulteriore. Non guardano solo indirizzi e porte, ma analizzi il contenuto dei pacchetti, riconoscono applicazioni, protocolli incapsulati, firme di attacco note. Alcuni integrano funzioni di filtraggio web, rilevamento di intrusioni, segmentazione avanzata delle reti. Strumenti che vengono descritti e confrontati anche in risorse come la sezione sicurezza di SANS.
Dietro l’interfaccia grafica di molti prodotti restano comunque concetti chiave abbastanza semplici. Un traffico non esplicitamente autorizzato viene bloccato. Le regole devono essere lette dall’alto verso il basso. L’ordine conta. E una politica troppo permissiva annulla il senso stesso del firewall, mentre una troppo rigida tende a bloccare anche ciò che serve.
Perché il firewall difende ancora i sistemi
In un mondo in cui si parla di zero trust, segmentazione, microservizi e cloud, il firewall potrebbe sembrare uno strumento superato. In realtà il suo ruolo è cambiato, non è scomparso. Restare senza significherebbe rinunciare a un livello di difesa fondamentale, soprattutto a fronte di minacce sempre piu automatizzate, come ricordano regolarmente gli alert del CISA.
La prima ragione è banale ma decisiva. Un firewall ben configurato riduce la superficie di attacco. Chiude porte inutili, limita i servizi esposti, impedisce a sistemi interni di parlare con destinazioni esterne non necessarie. Molte intrusioni non sfruttano vulnerabilità esotiche, ma servizi dimenticati, porte lasciate aperte per abitudine, accessi di test mai disattivati.
La seconda ragione riguarda la visibilità. Un firewall moderno non si limita a bloccare, registra. Logga tentativi di connessione sospetti, volumi anomali di traffico, pattern ripetitivi. Questi log, se analizzati, diventano una fonte preziosa per capire come si muovono gli attaccanti, quali sistemi attirano più attenzioni, dove servono ulteriori controlli.
La terza è la capacità di segmentare. In molte reti aziendali il problema non è solo tenere fuori gli estranei, ma evitare che un singolo incidente comprometta tutto. Un firewall interno può separare reti di ufficio da reti industriali, ambienti di sviluppo da ambienti di produzione, dispositivi IoT da server che contengono dati sensibili. In questo modo un errore su un punto non diventa automaticamente un disastro su tutta la linea.
Infine il firewall resta un punto di integrazione naturale con altre misure di sicurezza. Può applicare regole basate su elenchi di indirizzi noti, collaborare con sistemi di rilevamento intrusioni, collegarsi a servizi di threat intelligence, essere gestito attraverso piattaforme centralizzate insieme ad altri controlli. Non è più il solo protagonista, ma un attore importante in un’architettura difensiva a più livelli.
Per questo, quando si progettano sistemi operativi esposti in rete, infrastrutture aziendali, ambienti cloud, la domanda non dovrebbe essere se usare un firewall, ma come. Dove posizionarlo, con quali regole, con quale logica di manutenzione. Un firewall vecchio, mai aggiornato e con regole opache può diventare lui stesso un problema. Un firewall curato, documentato e testato regolarmente resta invece una delle barriere più efficaci tra un sistema sano e un incidente annunciato.